29-30-31 agosto 2005
SEVERAC, CANTAL, Francia del sud
Qual
è l’oggetto di questo incontro?
Durante
questi tre giorni abbiamo lavorato e vogliamo lavorare
per far risaltare come ciascuna rete, ciascuna persona
delle reti qui presente sia portatrice di esperienze
di rete, di “saper fare” di rete, di saper
sviluppare della formazione reciproca, di saper sviluppare
dell’attenzione verso la ricchezza di ogni persona.
Ci sembrava che a partire da come si sviluppano queste
reti in Francia, in Italia e in altri paesi del mondo
era necessario riflettere assieme per condividere queste
ricchezze, rinforzare reciprocamente le nostre esperienze
e forse per trovare dei metodi, dei mezzi e un sistema
per una formazione reciproca in rete.
Faccio un esempio: la rete locale di Saint Flour ha
una interessante esperienza di organizzazione di giornate
interculturali. E’ il risultato di un lavoro collettivo,
di un saper fare individuale condiviso, di un saper
fare collettivo costruito, ed è proprio un peccato
che questi “saper fare” restino nella rete
di St.Flour. Quindi l’oggetto di queste giornate
è in primo luogo aiutarli a descrivere le loro
esperienze ed i loro “saper fare” ed in
seconda battuta aiutarli a riflettere in modo che possano
aiutare altre reti ad appropriarsi di questi saper fare
per utilizzarli a loro volta.
In che modo si può aiutare ciascuna rete perché
possa collegarsi ad altre reti?
Penso
che in primo luogo sia possibile aiutare ciascuna rete,
che naturalmente decida di partecipare, a prendere veramente
coscienza delle proprie ricchezze: dal momento che si
è nella pratica, nelle cose da fare, si progredisce
e forzatamente non ci rende conto dell’interesse
della propria esperienza, dell’interesse che può
avere per altri.
Quindi prendere coscienza delle proprie ricchezze è
un modo per progredire nella propria pratica, di pensarla
insieme, ma anche di accorgersi che può interessare
ad altri: si tratta di porsi come offerenti dei propri
saperi ad altre reti e nello stesso tempo prendere coscienza
che altre reti hanno costruito degli altri “saper
fare” diversi dai propri, di cui non ci si può
privare. Bisogna entrare in una dinamica di curiosità
verso le altre reti, di aver voglia di sapere e desiderare
come fanno gli altri, di accorgersi come gli altri fanno
diversamente rete, in che cosa possono arricchirci,
perché possiamo imparare ciò che loro
sanno e che noi non sappiamo.
E’ dunque un progetto interessante finchè
si continua a costruirlo: ovvero non ci si ferma solo
nell’applicazione delle pratiche, ma ci si pone
nell’invenzione e nella re-invenzione permanente
della propria pratica. Ma ciò non è possibile
farlo da soli: non è possibile raccontarsi da
soli e le reti che restano nelle pratiche, i progetti
che restano solo in quell’ambito, sono destinati
a morire perché girano su se stessi e non si
accorgono che non vivono più. Quindi poco a poco
le motivazioni delle persone che ci lavorano si perdono
perché si è motivati dalla creazione e
non soltanto dalla routine.
In che modo le pratiche interne a ciascuna rete
possono essere trasferite tra le reti e a livello del
Movimento Internazionale?
In effetti in ciascuna rete ogni persona scopre, attraverso
la rete, l’interesse verso i saperi degli altri
e l’interesse dei propri saperi per gli altri
e quindi si lavora per trovare, nominare e descrivere
i propri saperi, metterli in opera, trasformare le proprie
ignoranze in domande, entrare in relazione con l’
altro.
Riflettere insieme su come si impara insieme ed imparare
insieme è effettivamente la stessa cosa che avviene
tra organizzazioni, tra reti portatrici di saper fare
collettivi. Penso che ciò possa dare un contributo
alla costruzione di un movimento internazionale di reti,
poiché - ho fatto l’esempio ieri - Anastase
che è animatore di una rete a Nairobi, in Kenia,
farà fatica a visitare la rete di Vicenza e la
rete di Saint Flour: nello stesso tempo possiamo riflettere
insieme su quale sia una maniera intelligente di utilizzare
internet per rendere le pratiche degli uni e degli altri
più visibili e più sensibili agli uni
e agli altri, per arrivare veramente a tentare di condividere
le esperienze.
E’ possibile che per fare ciò sia necessario
un nuovo “saper fare” ed un nuovo “saper
imparare”?
Sì,
certamente ! Si tratta di riflettere su che cosa è
un “saper fare collettivo”, che cos’è
l’intelligenza collettiva. Si tratta di riflettere
sui modi di trasformare le nostre esperienze in occasioni
di formazione per gli altri, il che significa mettersi
al posto degli altri e ascoltare le domande degli altri
per poter guardare diversamente la propria esperienza
e ciò è un apprendimento permanente.
Vorrei insistere sulle tecniche di informazione e di
comunicazione, non certo per sacralizzarle e farsi delle
illusioni; penso che dobbiamo riflettere sul fatto che
sono strumenti preparatori dell’incontro, ma che
non prenderanno mai il posto dell’incontro, l’incontro
reale nel quale si può ascoltare l’esperienza,
raccontare razionalmente, sensibilmente, emozionalmente
nelle diverse dimensioni. Contemporaneamente è
necessario che gli strumenti che andremo a costruire
ci diano la voglia, il potere e il desiderio forte di
organizzare degli incontri tra noi per comprendere le
persone nel posto dove vivono le loro esperienze. Perché
penso che non si conosce un’esperienza se non
quando la si vede nel terreno nella quale essa si costruisce:
dal momento che sono venuta da voi a Vicenza ciò
mi permette, credo, di capire meglio ciò che
fate e questa è una possibilità per me.
Mi sembra che gli strumenti che stiamo mettendo in costruzione
per la formazione reciproca fra reti, ivi compresa la
formazione a distanza, debbano essere preparatori per
l’incontro reale “in presenza”.
In Italia si parla molto di “conflitti tra culture”.
Può essere questa una maniera per aiutare a evitarli
o a risolverli?
Penso
che è in fondo una delle speranze di chi avvia
delle reti e l’esperienza più che trentennale
delle reti mostra bene come esse permettano che ci sia
riconoscimento della propria cultura e rischiare di
accettare la cultura dell’altro. Ci sono delle
cose comuni nella propria cultura e credo sia importante
dire che non si è soltanto nella "differenza
di cultura”, siamo anche gli stessi e siamo portatori
della stessa umanità, anche se di diverse culture.
C’è qualcosa di comune fra gli esseri umani
anche quando appartengono a culture diverse: trovandoci
tra noi e scoprendo che ciascuno porta qualcosa di ricco
allora in quel momento si può ricevere la cultura
dell’altro.
Penso che vi siano molte cose che sono vissute come
“conflitti tra culture” che sono legate
al fatto che ci sono delle persone che non si sentono
affatto riconosciute nella propria cultura e se non
si è riconosciuti in ciò che si è,
non si può riconoscere l’altro; allo stesso
modo riconoscere l’altro insegna ad accettare
di essere riconosciuti, e a riconoscere se stessi. La
cosa è interattiva: riconoscere se stessi, accettare
di essere riconosciuti e riconoscere l’altro.
E’ veramente una triangolazione molto interattiva
e bisogna considerare le tre cose contemporaneamente.
Mi sembra sicuramente che le reti di scambi reciproci
di saperi contribuiscano a questo processo: la prova
di ciò si trova in diverse città della
Francia e credo che sia così anche da voi, da
quanto ci avete raccontato.
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